mercoledì 5 dicembre 2007

Spazi pubblici attrezzati.

Sedici anni fa lo chiamavamo centro sociale ed io scrissi anche un volantino dove chiedevamo a gran voce la sua realizzazione. Oggi abbiamo preferito l’espressione spazi pubblici. Ed è giusto così. Centro sociale può dare adito all’idea che la socializzazione sia una “cosa” da fare in un posto ben preciso. Io invece credo che ovunque si debba socializzare. Immagino non solo centri sociali, ma anche periferie sociali, una scuola sociale, una chiesa sociale, la famiglia sociale, ed anche il bar, la piazza, lo stadio sono “centri sociali”. Perché no, pure la fila alla posta è un momento di socializzazione. Ogni volta che noi interagiamo con gli altri (con i professori, il prete, i genitori, gli amici ecc.) bisogna vivere tale interazione come un momento di socializzazione. Poi è importante far crescere in noi la componente individuale che deve sempre rimanere viva. Cioè l’individuo cresce nella socializzazione, gode della socializzazione senza però mai annullare la propria individualità.
Quindi non mi piace l’idea di centro sociale come luogo specificamente adibito alla socializzazione o alla socialità, che dir si voglia, quasi a voler sostenere che al di fuori di esso è la componente individuale a prevalere. Meglio l’espressione spazi pubblici, ed aggiungerei l’attributo “attrezzati”. Spazi pubblici attrezzati. Nell’interagire tra di noi, abbiamo bisogno di condividere interessi, passioni, argomenti su cui discutere. Avere un posto, ad esempio, dove ascoltare e poter fare musica permette appunto di condividere interessi, passioni ed argomenti su cui discutere. Ed è questo il motivo per cui ci devono esserci questi spazi. Non mi piace l’idea che bisogna mettere su questi posti per combattere il disagio giovanile o la noia. Voler stare insieme per condividere interessi, passioni ed argomenti su cui discutere è forse una delle cose più belle della vita. E’ la gioia in sé del voler stare insieme che ci deve far sentire l’esigenza di incontrarci. E’ molto triste pensare di voler fare una cosa per combatterne un’altra, come voler stare insieme per combattere la noia. E’ molto più bello, a parer mio, voler fare una cosa per la bellezza in sé di quello che si sta facendo. E’ bello voler stare insieme semplicemente perché è bello stare insieme. Poi se il disagio giovanile diminuisce bisogna considerarlo come una conseguenza. Inoltre, sono abbastanza convinto che i vari “disagi”, e quindi non solo quello giovanile, abbiano più facilità di germogliare proprio lì dove è presente una mentalità piuttosto deprimente che vuole che noi facciamo le cose per tappare dei buchi, per risolvere problemi, appunto per combattere qualcos’altro. Va bene pensarla in questo modo se dobbiamo fare delle cose necessarie. Potrei ritrovarmi a fare un lavoro che non mi piace ma farlo lo stesso perché ho bisogno di soldi per vivere. Ma pensare che dovrei voler sentire l’esigenza di stare insieme perché altrimenti starei tutto il tempo in un bar a bere birra, mi deprime come idea. Ripeto, voler stare insieme per condividere passioni, interessi e argomenti su cui discutere, è una cosa bellissima in sé, una delle cose più belle della vita.
Infine vorrei porre l’accento su un elemento affettivo. Ci si lamenta che i giovani tendono sempre di più ad abbandonare il paese per cercare prospettive altrove. La causa dell’emigrazione è da imputare soprattutto alle possibilità lavorative che nel nostro paese sono sempre più scarse. Ma a parer mio tutto ciò avviene anche perché per voler rimanere in un posto, noi dobbiamo sentire che quel posto ci appartiene. “Riempiendo” il nostro paese di “motivazioni” da dare ai più giovani per amarlo, i più giovani sentiranno sempre di più di dare il loro contributo affinché ci si metta attorno ad un tavolo e si cerchino di individuare le strade lavorative che permettano di avere una possibilità concreta per restare.