venerdì 18 gennaio 2008

Proiezioni dal mondo


Sembra il programma di un festival internazionale la rassegna di film prevista per il 3° cineforum, organizzato dal Centro di Aggregazione Giovanile e dal movimento culturale il Tarlo, che si terrà a Venosa al Cinema Lovaglio dal 15 febbraio a fine marzo. Sono in rassegna cinque film che provengono dal di fuori dei confini italiani, dalla Turchia (Ai confini del Paradiso), dal Medio Oriente (Caramel e Meduse), dagli Stati Uniti (Paranoid Park), dal Canada (L’età barbarica) ed un film italiano girato nel materano (Il rabdomante). Tre di queste pellicole (Meduse, Ai confini del Paradiso, Paranoid Park) hanno anche ottenuto prestigiosi premi nell’ultima edizione del festival di Cannes. Caramel concorre per il titolo di Oscar come miglior film straniero.

Caramel è un film corale al femminile ambientato in una Beirut a metà tra tradizione e modernità. La regia non lascia tracce particolarmente significative, la sceneggiatura è invece molto delicata (pur con dei momenti non proprio a fuoco). Nel complesso il film è in grado di toccare le emozioni dello spettatore.

Ai confini del Paradiso è l’opera seconda di Fatih Akin autore del fortunato (sia come successo di pubblico che di critica) La sposa turca. Alcuni hanno trovato eccessivamente melodrammatico questo nuovo lavoro del regista tedesco di origini turche, altri hanno evidenziato l’artificiosità degli incastri narrativi. Chi scrive ritiene invece che il film di Akin ha dei momenti di intensità emotiva molto profondi e molto veri, e si tratta di quella verità che trascende il concetto di verosimiglianza sia a livello narrativo che psicologico.

Meduse è il gioiellino della rassegna. Un piccolo film che parla di sentimenti in modo semplice ma raffinatissimo. Il tutto attraversato da un’atmosfera magica, fiabesca più che surreale.

Paranoid Park è un parco di Portland (Oregon) in cui i ragazzi s’incontrano per fare skateboard. Gus Van Sant lo dipinge come un luogo interiore più che fisico e tutte le vicende che accadono sono rappresentate così come percepite a livello emotivo e mentale dal ragazzo protagonista del film.

L’età barbarica di Dennys Arcand è l’ultimo tassello del puzzle che il regista canadese ha cominciato a comporre con Il declino dell’impero americano e Le invasioni barbariche, per parlarci della sua visione sociale e morale del mondo contemporaneo.

Il rabdomante è stato girato in Basilicata a Matera e dintorni. E’ un film apprezzabile per il tentativo di mescolare diversi generi. E’ una storia di amicizia, di fratellanza, d’amore. Lo abbiamo scelto anche perché affronta il problema dell’acqua come bene comune, problema su cui vorremmo soffermarci a discutere.

Ad ogni film seguirà un dibattito all’interno del quale si analizzeranno e si approfondiranno gli elementi contenutistici e formali del film.

Obiettivo primario di una rassegna è quello di farsi ricordare. Ci auguriamo quindi che lo sguardo sulla realtà, su noi stessi, in seguito al percorso di film proposto, ne esca arricchito se non addirittura rinnovato.

giovedì 3 gennaio 2008

Sono soddisfatto

Sento di aver vinto la scommessa.

Ho voluto produrre un cortometraggio dal nome "La fine del mondo", scritto da Fabio Divietri e diretto da Tiziano Doria, con l'idea di vincere alcune sfide.

1. Trasporre in forma breve i canoni narrativi tradizionali del lungometraggio. Mi piaceva l'idea di creare tra il lungometraggio e il cortometraggio lo stesso rapporto che c'è tra romanzo e racconto. Un'idea affascinante ma allo stesso tempo molto complicata. I lungometraggi sono in genere costituiti da una parte iniziale, due punti di svolta narrativi, una parte centrale tra questi due punti di svolta, una parte finale dopo il secondo punto di svolta e poi il finale vero e proprio. I lungometraggi si prendono tutto il tempo (in genere la prima mezz'ora di film) per costruire ambientazioni, personaggi e per far partire la prima svolta narrativa del film. In un cortometraggio ti giochi tutto invece nei primi minuti. Poi i lungometraggi spesso soffrono nella parte centrale, cioè quando dalla prima svolta narrativa si deve passare alla seconda. In questa parte i lungometraggi diventano farraginosi e banali perché in genere per tenere in piedi la parte centrale ci si rifa a tutta una serie di canoni narrativi o di costruzione dei personaggi molto scontati. Il cortometraggio invece ha la forza di poter essere snello nella parte centrale tra i due punti di svolta e ti puoi giocare la narrazione su pochi spunti ma forti ed essenziali. Molti lungometraggi crollano dopo il secondo punto di svolta narrativo perché non riescono ad imprimere una vera e propria svolta o al personaggio o alla narrazione, oppure perché ci si perde troppo nella narrazione perdendo il controllo dell'atmosfera e dello spessore "tematico" del film. Credo che con il nostro cortometraggio abbiamo stravinto la sfida dal primo punto di svolta in poi e ci siamo mantenuti a galla nella parte iniziale. Quindi non posso che essere soddisfatto.

2. Stilisticamente abbiamo voluto fare un noir, con dei canoni narrativi tipici del noir ed anche con la fotografia e le ambientazioni tipiche da noir, ma con una regia di stampo europeo. Se ne parlo con qualcuno che ne capisce di cinema mi prende per matto perché abbiamo tentato un'operazione stilistica estrema. Secondo me, anche in questo caso, la sfida è stata stravinta. Abbiamo eliminato gran parte del pathos narrativo tipico dei noir, concentrandolo solo sui punti di svolta. Purtroppo la lentezza del film affascina un po' meno il grande pubblico però credo che chiunque, anche ritenendo eccessivamente lento il film, rimanga con la curiosità di vedere come si svolgono i fatti.

3. Abbiamo usato un linguaggio "letterario" ed abbiamo optato per una verbosità che doveva essere integrata con quello che si vede ma allo stesso tempo doveva "viaggiare" parallelamente a ciò che si vede, con il preciso intento di contribuire a rendere il film al di fuori del tempo e dello spazio e di farne una riflessione esistenziale universale. Certo di primo acchito può apparire come un'opera verbosa ma a me il risultato convince. Lo dico in punta di piedi, la verbosità del corto mi ricorda a tratti "La sottile linea rossa". Comunque sia, anche questa è stata una sfida. Usare il tipico linguaggio da noir avrebbe reso l'opera più banale.

4. Il cortometraggio è lontanissimo da quel provincialismo italiano di cui soffre gran parte del nostro cinema. Nonostante l'accento lucano con cui recitano gli attori, il corto si vive come un'opera non collocabile nello spazio e nel tempo.

E' un'opera prima, e quindi si porta dietro le ingenuità e le imprecisioni da opera prima, ma nel complesso mi ritengo molto soddisfatto e già desideroso di lanciarmi in un nuovo progetto.

Vi aspetto venerdì 4 gennaio alle 21.00 in via Toscana, 6, per la proiezione della prima.