In genere non amo fare recensioni di film appena visti al cinema perché una recensione seria è un'analisi seria, elaborata e approfondita del film in tutti i suoi aspetti formali e contenutistici, e quindi bisognerebbe riflettere sul film per un po' di tempo, magari rivederlo, informarsi e poi scrivere. Quindi solo pochi film appena usciti al cinema mi spingono, perché meritano, a fare questo lavoro. Per tutti gli altri mi limito ad un breve commento orale con i miei amici.
Se sono qui a scrivere su un film appena visto al cinema è per motivi che vanno al di là del valore del film in sé. Ne scrivo perché vorrei denunciare l'appiattimento della percezione delle cose, della realtà, delle emozioni inculcataci dalla televisione.
Il film di Faenza è terribilmente televisivo. Per Faenza così come per la televisione, se un padre imbronciato dà uno schiaffo ad un figlio che non segue i suoi rigidi e autoritari insegnamenti (il film non va per il sottile ci mostra subito nella prima scena il bambino che cammina in ginocchio perché si deve formare il carattere) allora si è costruito un rapporto padre (cattivo, autoritario) -figlio (sensibile, ribelle). Il figlio sensibile, ribelle lo si manda in un collegio-monastero. E noi spettatori già sappiamo che i collegi-monasteri sono una "faccenda dura" e quindi il film non fa altro che alimentare qeusta nostra idea con una-due scene (non di più, tra l'altro scontate, denotative e affatto incisive) in cui si fa vedere il mostruoso collegio-monastero. Il rapporto di amicizia tra il protagonista (il figlio sensibile, ribelle) e il suo amico Giovannino è appena fatto vedere ma è dato per scontato che i due siano amici e legati tra di loro. Stessa cosa con il rapporto tra il protagonista e la madre, il protagonista e la sorella, il protagonista e il servo che lo accudisce. Tutti rapporti che sono già così prima del film (cioè a priori) nella mente dello spettatore e che il film quindi si limita solo a costruire con una o due scene e poi quel rapporto è dato. La cosa più terribile è che poi il fim pretende pure che noi spettatori ci commuoviamo quando vediamo il monastero in rovina e il parroco che, legato ad esso, ci è rimasto dentro e che mostra ai ragazzi dove dormivano (ma se nel film ci hanno fatto vedere i ragazzi nel monastero per soli cinque minuti!!!!!!). E tale commozione ci è richiesta anche tante altre volte nel film ma sempre in modo pretestuoso. Ovviamente poi il tutto è condito con un'infinità di stereotipi e con spunti narrativi davvero imbarazzanti (ad esempio, il bimbo che "entra" nelle scene, dandone sviluppo, spiando sempre da tutte le parti e con tutti i mezzi con cui si possa farlo. Oppure mi riferisco alla gratuità narrativa, cioè al modo inconsistente in cui sono costruite le scene di impatto emotivo del film).
Poi se a questi personaggi si mettono addosso dei costumi ottocentesci e li si fa muovere in spazi scenograficamente ottocenteschi allora gli autori del film pensano (malamente) di aver inserito il tutto in un contesto storico e di aver fatto un film storico.
Lo dico con estrema decisione. Il cinema, fatto così, diventa immorale. Il cinema deve aiutarci a vedere la complessità della realtà, ad uscire dai nostri schemi mentali. Il cinema deve farci vedere come nascono e si sviluppano i rapporti tra le persone, le dinamiche sociali, le emozioni dei singoli individui. Se il cinema illustra senza raccontare, mostra senza rappresentare, fotografa senza dare vita, allora rimane in superficie e non va in profondità, cioè non è cinema ma è televisione. Ed è troppo facile parlare male di televisione attaccando i reality. Quelli sono solo la parte più evidente, più esposta (se mi è consentito il termine) dell'orrore televisivo. La parte più subdola, e quindi più immorale e pericolosa, dell'orrore televisivo (consentitemi la ripetizione dell'espressione), è costituita proprio dalle tante fiction che abituano il nostro sguardo a non essere critico, a non elaborare la realtà ma a prenderla così come è. Tutto ciò che alimenta la superficialità (nel senso proprio di rimanere in superficie), la piattezza, la inconsistenza, è immorale.
PS: Troppo scontato consigliare la visione del Gattopardo. Per capire cosa significa raccontare la storia, le dinamiche sociali, i personaggi e la loro complessità si veda quel capolavoro enorme che è Barry Lindon di Kubrick. Per chi vuol capire invece cosa significa raccontare (cioè elaborare con scene, spunti narrativi, dialoghi, sguardi, ecc. ecc. e senza dare niente per scontato e senza facili pateticismi) un rapporto di amicizia tra ragazzi e la realtà di un collegio, si veda Arrivederci ragazzi di L. Malle. Ma sono solo i primi film che mi sono venuti in mente e direi che mi sono venuti anche ingiustamente in mente vista la sproporzione tra loro e il filmettino televisivo di Faenza.
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