domenica 30 settembre 2007

FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO ED IMPEGNO POLITICO-SOCIALE

Sono più di dieci anni che la filosofia del linguaggio è entrata a far parte dei miei pensieri. Tutto è cominciato seguendo all’Università corsi di Estetica e Filosofia del linguaggio in cui si parlava di Wittgenstein. Lo studio delle opere del filosofo austriaco e l’interpretazione dei suoi pensieri sono stati alla base delle mie riflessioni in questi dieci anni. Da alcuni mesi però ho ampliato le mie conoscenze perché affascinato dalla figura del più grande intellettuale vivente: Noam Chomsky.
Ho sempre considerato le mie riflessioni sulla filosofia del linguaggio come la base da cui partire per fondare le mie analisi sulla società. Mi sono quindi avvicinato alla figura di Chomsky come se fosse un personaggio mitico perché lui è un intellettuale profondamente impegnato nella società e credo sia insieme a Wittgenstein il più importante filosofo del linguaggio del secolo scorso. Però, nonostante Chomsky attacchi molto i media e il modo propagandistico in cui le “democrazie” occidentali (in primis quella americana) costruiscono il consenso anche, se non soprattutto, attraverso il linguaggio, le sue teorie di filosofia del linguaggio sono abbastanza distinte dalle sue analisi e critiche della e sulla società.
La mia ricerca è quindi diversa, in quanto le analisi (meglio, le modalità con cui conduco delle analisi) sulla società che mi circonda derivano dalle mie teorie di filosofia del linguaggio. Teorie che non ho ancora ultimato e che vorrei in uno o due anni far confluire in un saggio. Non ho cominciato a scrivere questo saggio un po’ perché ho bisogno di mettere a punto alcune riflessioni, un po’ perché non ho bene in mente lo stile con cui scriverlo.
Comunque, in estrema sintesi, il fulcro delle mie teorie sta nel fatto che, a mio avviso, le parole acquisiscono significato grazie ad un processo induttivo e che per esigenze pratiche una volta “indotte” l’essere umano le usa in modo deduttivo, cioè l’uomo per esigenze pratiche dimentica la natura induttiva con cui ha creato le parole e le usa in modo deduttivo (illudendosi quindi che le parole abbiano un significato a priori ben delineato) applicandole a contesti più o meno ampi.
I processi innati che sono dietro la facoltà del linguaggio (per usare una terminologia chomskiana) sono a mio avviso da vedersi nella capacità, appunto innata, dell’uomo di individuare proprietà comuni tra le cose, tra i concetti, tra le idee. Come si forma il concetto di colore? L’uomo ha la capacità di individuare delle proprietà comuni tra le mele che ho qui davanti, a cui dà il nome rosso. Questa capacità è innata e per Wittgenstein deve essere stimolata dall’esterno tramite l’addestramento. Per Chomsky invece (se interpreto correttamente il suo pensiero) l’individuazione della proprietà comune a cui diamo il nome rosso, può venire anche da sé senza alcun addestramento dall’esterno.
In alcuni casi verrebbe da dar ragione a Chomsky. Abbiamo parlato del colore rosso, ma cosa dire del concetto “mela”? L’uomo ha la capacità di individuare proprietà comuni a cui sente l’esigenza di dare un unico nome, ad esempio mela. Addirittura ha la capacità di individuare proprietà comuni in modo ancora più ampio. La mela è un oggetto, una cosa. L’uomo ha quindi la capacità di individuare proprietà comuni ancora più ampie a cui dà il nome di “oggetto” o “cosa”. Per le mie teorie il modo in cui si arriva a formulare nomi sostantivati o aggettivi è lo stesso. Il modo in cui arriviamo a definire l’etichetta “mela” o l’etichetta “rosso” è lo stesso.
Quindi il linguaggio nasce dalle capacità innate dell’uomo di individuare proprietà comuni nella realtà. Il grassetto serve ad evidenziare che, a mio avviso, il linguaggio nasce da un’interazione soggetto-realtà. Il processo che porta dalle proprietà comuni ai nomi lo definisco procedimento induttivo.
Una volta indotto il nome “rosso”, l’etichetta “rosso”, l’uomo deduce da quel nome tutta un’altra serie di “rossi”. E si chiede: questa mela che ho qui davanti la posso definire “rossa” o “arancione”? Qui nasce l’illusione. La deduzione, cioè questo passaggio dal nome generale alla realtà particolare è un’illusione. Siamo noi che decidiamo se quella mela arancione rientra nelle proprietà che individuiamo come comuni a cui abbiamo dato il nome di “rosso”.
Il fatto che scientificamente si sia trovata una legge sottostante al colore “rosso” non significa proprio nulla. Quella legge è solo un metodo per individuare le proprietà comuni a cui diamo il nome “rosso”.
L’illusione del procedimento deduttivo è ciò che crea le più grandi polemiche anche a livello di analisi politico-sociali e di vita politico-sociale.
Perché non si sa più cos’è la destra o la sinistra?
Semplicemente perché nella Storia si sono individuate proprietà comuni a cui si è dato il nome di Sinistra o di Destra. Oggi siamo al procedimento deduttivo. Cioè si ha la sensazione o l’idea ben precisa, che le idee e/o le azioni dei partiti di sinistra o di destra non abbiano quelle proprietà comuni a cui abbiamo dato il nome di destra o sinistra. Il punto è che queste parole sono state indotte da processi storici e che non bisogna fissarsi sulle parole per pescare negli attuali processi storici. E’ necessari invece partire sempre dai processi storici attuali, ovviamente con il bagaglio di quelle proprietà comuni che abbiamo individuato nel passato e a cui abbiamo dato i nomi di destra e sinistra, ma non dobbiamo fissarci su quel bagaglio altrimenti rischiamo sempre di non capire e non interpretare la realtà, e di farci poi schiacciare dalla realtà che intanto va per conto suo.
Torniamo alla realtà. Cerchiamo di capire da dove nascono le ragione degli uni o degli altri. Cerchiamo di capire quanto queste ragioni apparentemente diverse tra di loro in realtà hanno delle connessioni. Cerchiamo di capire quali sono le parole indotte che si usano nel linguaggio quotidiano e sulla base delle quali le persone guardano al mondo, sulla base delle quali vivono.
In Italia spesso le polemiche dei politici sono più sulle parole, sulle etichette, su come dedurle , cioè su come applicarle alla realtà, e non sui contenuti, cioè non sulle parole prodotte, indotte da questa realtà che ovviamente affonda le sue radici nel passato. Anche chi fa delle analisi, anche gli intellettuali devono incidere sulla realtà sulla base di “nuove” parole indotte. Ho virgolettato “nuove” perché non voglio intendere nuove di zecca . In alcuni casi potrei individuare proprietà comuni diverse e quindi parole effettivamente nuove, in altri casi potrei avere solo parole rinnovate.
Ripeto, torniamo alla realtà, al presente, ai nostri processi storici. E spero si sia anche capito che ciò non signifcia assolutizzare, isolare il presente. Ed anche se lo volessi fare non ci riuscirei. Nessuno può decidere di isolare, assolutizzare il presente. Il presente è anche passato, ma questo è ovvio.

2 commenti:

NewVagabond ha detto...

La logica dell'abduzione di Charles S. Peirce può essere utile?

Rocco SL ha detto...

non credo che il criterio dell'abduzione possa aiutarmi nell'elaborazione delle mie riflessioni. anche se ne ho una conoscenza solo di tipo manualistico.

PS: oggi forse scrivo un esempio pratico sulle mie teorie.